Yvan Rettore: «SUD, QUEL LAVORO CHE NON C’E’!»

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Lettera di Yvan Rettore

Un giorno capitò in un paese del Sud un uomo dal passato professionale brillante.

Quella località da centro locale ricco di attività quale era si era progressivamente involuto fino a vivere un declino che sembrava inarrestabile.

Come tante altre zone del Sud, quel comune si stava svuotando dei suoi abitanti perché i giovani se ne andavano per cercare lavoro altrove e rimanevano soltanto gli anziani e i pochi magnati locali.

Quell’uomo si sentì colpito da quella realtà, molto simile a quella che aveva dovuto lasciare tanti anni prima suo padre, costretto ad andarsene all’estero per riuscire ad avere uno straccio all’estero.

Grazie ad una formazione di grande livello ottenuta in quei lidi quell’uomo era riuscito poi ad emergere professionalmente avviando collaborazioni prestigiose con diverse aziende del Nord.

Disponeva di conoscenze importanti in vari settori industriali e pensava nella sua ingenuità di poterli usare per favorire uno sviluppo di quella zona onde evitare ai pochi giovani rimasti di dover rivivere uno destino analogo a quello vissuto da suo padre nel secondo dopoguerra.

Decise quindi di avviare tutta una serie di contatti con gente del posto, notabili, sindaci ed ex sindaci, magnati, liberi professionisti e uomini di partito per proporre la realizzazione di un progetto di insediamento di attività industriali compatibili col territorio (da riunire poi in distretti) da redare fra vari comuni dello stesso.

Una volta concluso si sarebbe poi fatto carico di presentarlo direttamente a vari imprenditori del Nord perché riteneva che soltanto procedendo in questo modo sarebbe stato più appetibile ed interessante per loro.

Seguirono tante chiacchiere, pacche sulle spalle, espressioni di simpatia ma il tutto si risolse in un nulla di fatto.

E questo con grande rammarico di quell’uomo che non se la prese più di tanto per essere stato preso in giro, ma piuttosto perché da quella terra ancora oggi, i giovani continuano ad emigrare (o a vivere in povertà facendo lavori saltuari, spesso in nero e comunque mal pagati) perché le uniche prospettive occupazionali rimangono nel settore pubblico (ma in modo risicato) e quelle riservate ai figli di.

Troppo tardi quell’uomo si era accorto che non c’è una vera volontà ai piani alti di quella zona per favorirne un vero e proprio sviluppo per l’insieme della popolazione che vi ci vive.

Per loro il progresso si limita alla conservazione del loro benessere e nulla più.

Oggi, passeggiando per quella località, a quell’uomo capita di immaginarla con parchi pieni di verde, grandi viali alberati, quartieri pieni di bambini, aziende in cui vedi una fucina di lavoratori, campi sterminati ricoperti di alberi da frutto e turisti che vi ci vengono non solo per dormirci ma anche per vivere l’essenza della sua cultura e delle sue tradizioni.

Poi, basta un colpo di clacson a farlo tornare alla cruda realtà e a costringerlo a mettersi al riparo su uno striminzito marciapiede ridotto in condizioni pietose.

Yvan Rettore

12 aprile 2021

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