MONS. ORAZIO SEMERARO, ILLUSTRE CITTADINO VEGLIESE CHE PARTECIPÒ AL CONCILIO VATICANO II (di Luigi Mazzotta)

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Arcivescovo Orazio Semeraro, “Nemo Propheta in Patria”

Cittadino di Veglie, poco conosciuto dai Vegliesi, che partecipò al Concilio Vaticano II

di Luigi Mazzotta:

Nemo propheta in patria è un’espressione latina sintetica tratta dalla frase Nemo propheta acceptus est in patria sua (Nessun profeta è gradito nella sua patria); fu pronunciata da Gesù in Nazareth in riferimento all’accoglienza piuttosto fredda tributatagli dai suoi conterranei, durante la liturgia della sinagoga. La si usa, spesso, nel momento in cui l’operato di qualcuno non è apprezzato da coloro che gli sono accanto.

Questa espressione si potrebbe riferire alla figura dell’Arcivescovo Mons. Orazio Semeraro, un illustre cittadino di Veglie che non ha avuto la giusta considerazione dei suoi stessi compaesani da tramandare alle nuove generazioni.

Si vuole qui tracciare brevemente i suoi dati biografici e qualche cenno sulla figura di Sacerdote, Educatore e Vescovo, oltre alla sua rilevante personalità di intellettuale.

mons. Orazio Semeraro

Mons. Orazio Semeraro nacque a Veglie il 4 aprile 1906 da una famiglia povera. Il padre Giuseppe, calzolaio, e la madre Natalizia Mazzotta, casalinga, abitavano in una casa in affitto situata “nella via della Chiesa al civico 18”, ora via San Giovanni. Fu battezzato in Chiesa Madre da don Adolfo Verrienti –  un illustre rampollo di una ricca e nobile famiglia vegliese –  il quale, nel 1910 divenne Vescovo e Prelato Palatino di Altamura e Acquaviva delle Fonti.

Nel ricostruire il percorso dell’Arcivescovo Mons. Orazio Semeraro, mi preme ricordare un episodio interessante accaduto in quegli anni e in più occasioni narrato da uno dei protagonisti. Nell’estate del 1919, alla fine di una funzione liturgica serotina, nella sagrestia della Chiesa Madonna delle Grazie, il Vescovo Verrienti, insieme all’Arciprete don Pasquale Mariano ed al vice-Parroco don Natalizio Mele, chiesero ad un ragazzetto chierichetto se voleva farsi prete per servire il Signore nella propria messe. Il ragazzetto ne parlò a casa con la mamma, ma all’inaspettata ed imbarazzante proposta non giunse un’immediata risposta. Nel frattempo il Vescovo Verrienti, essendo sua intenzione istituire una borsa di studio per sostenere le spese di un seminarista, non ricevendo alcun riscontro da quel ragazzo, invitò ad entrare in Seminario un altro chierichetto, che accettò subito: era Orazio Semeraro. Dopo alcuni giorni, il primo ragazzo, nel cui cuore era maturato il seme della vocazione sacerdotale, insieme al padre si recò dall’Arciprete per comunicare la volontà  ad entrare in Seminario. Ahimè! “Troppo tardi per beneficiare della borsa di studio!” il povero ragazzo, amico e cugino di Orazio, entrò comunque in Seminario a spese della propria famiglia fino al Sacerdozio. Si trattava di Don Realino Mazzotta, il quale, narrando quanto accaduto, ha sempre ribadito: “il Signore con una fava prese due piccioni!”.

Orazio, dopo aver frequentato il ginnasio ostunese, si trasferì per il Liceo Classico e gli Studi di Teologia nel Seminario Regionale di Molfetta. Durante il percorso scolastico si distinse come alunno eccellente tanto che fu inviato dai suoi superiori a Roma per frequentare la Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino, dove conseguì la Laurea in Filosofia. Vinse un concorso internazionale di Filosofia partecipando con il testo della tesi  scritto in lingua latina: “Disquisitio historico-critica de origine et valore Quartae viae S. Thomae” (Ricerca storico-critica sull’origine e sul valore della “Quarta via” di San Tommaso). Poco dopo la morte prematura del padre, sepolto nel Cimitero di Veglie, don Orazio a soli 23 anni, nell’agosto 1929, fu ordinato Sacerdote nella Cattedrale di Ostuni dall’Arcivescovo Tommaso Valeri, il quale, convinto delle virtù sacerdotali e delle capacità intellettuali, lo volle Rettore del Seminario Arcivescovile di Ostuni e professore di Filosofia nel locale Liceo Classico Statale “Calamo”.

Ostuni, ormai, era diventata la sua seconda patria e vi abitava con la mamma Natalizia e la sorella Rosina. Nel 1938, a soli trentadue anni, fu nominato Vicario Generale e Canonico Teologo del Capitolo Cattedrale della Diocesi di Ostuni. Nel 1954, l’Arcivescovo Nicola Margiotta lo nominò Vicario Generale della Diocesi di Brindisi. Don Orazio diventò un’importante figura di riferimento, lasciando un’impronta profonda come guida del laicato cattolico nel periodo fascista e soprattutto negli anni della ricostruzione del dopoguerra. Fu Assistente Diocesano della “Gioventù femminile”, della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), dei “Laureati Cattolici” e propose l’apertura del Circolo ACLI (Associazione Cattolica Lavoratori Italiani).

Ritratto di Mons, Orazio Semeraro (Autore Ignoto, olio su tela)

Figura intellettuale austera e di elevata cultura curò la preparazione politica dei cattolici e, per le elezioni del 2 giugno 1946, organizzò in Ostuni la “Settimana della Costituente” dove intervennero numerosi esponenti del mondo politico cattolico, giuristi e studiosi, come Renato Dell’Andro, Alessandro Agrimi e Aldo Moro. Il Presidente Moro aveva molta stima dell’Arcivescovo e secondo molte testimonianze lo presentava come: “…quella bella intelligenza di Don Orazio”. Sembrerebbe, inoltre, che del primo programma della Democrazia Cristiana di Ostuni, ma anche di tutta la Provincia di Brindisi l’ispiratore sia stato proprio Don Orazio. Egli, infatti, dedicò molto impegno pur senza operare interventi diretti.

Tra le numerose testimonianze di intellettuali laici, si riporta quanto Giuseppe Giacovazzo, già Senatore e Sottosegretario di Stato, racconta nel suo volume “Puglia – il suo cuore”: “Quando arrivai ad Ostuni avevo vent’anni… (era il 1945). M’insegnò una materia che solo i maestri della Scolastica sapevano insegnare: la filosofia. Non la solita pappardella a uso liceale che mette in fila un filosofo dopo l’altro. Don Orazio Semeraro insegnava a ragionare, passeggiando prima di sera intorno alla Muraglia. Ti poneva un problema e lo seminava di dubbi. Ti raccontava un fatto realmente accaduto, poi ti chiedeva: hai visto che fine ha fatto quel tale? Conviene essere onesti come lui? Chi ci domanda ad essere onesti? Alla fine si ragionava sull’etica, sui filosofi: questo ha detto Platone, questo Tommaso, questo Kant e poi Hegel, e via via Marx e Croce. E la fede? E la Grazia? Quello è solo un dono, un regalo – diceva citando Agostino – e spesso un dono del tutto immeritato, misterioso”.

Nel 1957 fu eletto Vescovo di Cariati (Cosenza) e Consacrato nella Cattedrale di Ostuni dal Cardinale Adeodato Piazza. I dieci anni del suo magistero episcopale calabrese furono intensi come testimoniano i tanti scritti di stima del clero e dei laici. Sono gli anni del Concilio Vaticano II al quale Mons. Orazio Semeraro partecipò come Padre Conciliare in tutte le sessioni dal 1962 al 1965.  In un’importante commissione  propose: “una rinnovata solenne condanna della dottrina e della prassi del comunismo ateo” che fu, in seguito, argomento di una sua Lettera Pastorale del 1961 dal titolo “L’eresia del secolo”. In essa si fa distinzione tra gli atei che professano la dottrina marxista e i semplici gregari che aderisco al Partito senza abbracciare l’ideologia ateista. Alla fine del Concilio ebbe a scrivere, tra l’altro, nella Lettera Pastorale del 1966: ”Il rinnovamento riguarda innanzitutto la Chiesa….I Padri ne reclamano la riforma interiore: la elevazione del suo tono di vita, alla luce delle Beatitudini Evangeliche, la revisione delle sue attività e dei suoi metodi, l’aggiornamento delle sue strutture logorate dal tempo, l’affermazione di uno spirito nuovo: ecclesiale, comunitario, ecumenico, missionario. Non può la Chiesa rinnovare e santificare il mondo, se non rinnova prima e non santifica se stessa!”. A distanza di circa 60 anni, Papa Francesco cerca di concretizzare ancora questi obiettivi.

Nel 1967 fu trasferito a Brindisi come Arcivescovo coadiutore con diritto di successione di Mons. Nicola Margiotta – di anni 78 -, quindi Amministratore Apostolico “sede plena”.

In questi anni ebbe modo di recarsi spesso a Veglie per diversi impegni pastorali e non, tra cui le numerose occasioni delle Sante Cresime, la nuova consacrazione della Chiesa Madre dopo i restauri del 1968, ricordata con una lapide. Non mancarono mai le visite private ai parenti del ramo materno, anche in occasioni di lutti familiari. In un angolo della zona antica del Cimitero di Veglie, in memoria del padre Giuseppe morto nel lontano 1929 e seppellito in una fossa comune, volle far costruire un semplice epitaffio con una lastra in marmo su cui ancora è scritto: “A Giuseppe Semeraro”; il tutto sormontato da una grande Croce in ferro.

Nel maggio del 1975, per motivi di salute rassegnò le dimissioni come Pastore coadiutore della Diocesi di Brindisi-Ostuni. Pertanto, poiché il titolare Arcivescovo Margiotta non volle mai dimettersi per l’età avanzata come stabilisce la norma canonica, Mons. Semeraro non rientra nella Cronotassi degli Arcivescovi di Brindisi; il “diritto di successione” a lui conferito dalla Santa Sede non fu mai esercitato.

E’ illuminante, a questo punto, riportare la testimonianza del suo Segretario Mons. Angelo Ciccarese: ”Non è mai stato un campione di salute. Spesso ha sofferto in silenzio, non dandolo a vedere, per non procurare preoccupazione a chicchessia. La sofferenza lo ha accompagnato fino agli ultimi istanti della sua preziosa vita terrena. …C’è stato un momento particolare che personalmente mi ha svelato la grandezza umana e cristiana di Mons. Semeraro. Quando nel 1974 le condizioni di salute diventarono sempre più precarie, decise di presentare le dimissioni dal suo servizio pastorale. Lo riteneva un dovere impellente per il bene della diocesi e lo ha fatto con decisione. Può sembrare una scelta ovvia, quasi formale e rituale. Ma voglio porre l’accento sui rischi che egli ha voluto correre in quel momento ed è giusto che il Popolo di Dio conosca questi particolari. Ho già detto prima che Mons. Semeraro ha servito questa Chiesa diocesana di Brindisi-Ostuni in qualità di Coadiutore e di Amministratore apostolico. Mentre tutte le fatiche e gli oneri del servizio alla diocesi gli competevano, non altrettanto si può dire per le varie garanzie, comprese quelle economiche. Mons. Semeraro viveva senza grandi appannaggi: non riceveva la congrua. Percepiva un modestissimo assegno mensile da parte della Congregazione dei Vescovi e viveva delle offerte del suo ministero episcopale e dei proventi di Curia. La scelta di dare le dimissioni era una scelta al buio, senza rete si direbbe oggi, perché egli non poteva accampare alcun diritto sui beni della diocesi. …A chi, dopo la nomina di Mons. Todisco ad Arcivescovo di Brindisi-Ostuni, gli chiedeva come mai non avesse chiesto un ausiliare, garantendosi la continuità del servizio e un minimo di garanzia, Mons. Semeraro rispondeva che il bene della Chiesa non poteva essere subordinato alla sicurezza umana dei suoi vescovi.”

Dopo la rinuncia fu ospitato insieme alla sorella Rosina nell’episcopio di Ostuni messogli a disposizioni dal nuovo Arcivescovo Mons. Settimio Todisco, succeduto nel frattempo al Margiotta nello stesso anno 1975.

Morì il 23 agosto 1991 e le sue spoglie riposano nella Cattedrale di Ostuni.

Alla luce di quanto esposto si constata che – salvo un’intestazione di una sperduta via all’estrema periferia del paese – non vi è stato alcun pubblico riconoscimento da parte delle autorità cittadine di Veglie contrariamente a quanto avvenuto per le diverse iniziative organizzate in Cariati e, soprattutto, in Ostuni. Oltre ad omaggiarlo con diverse pubblicazioni è stato a lui intitolato il Museo Diocesano.

In più occasioni è stato proposto di organizzare a Veglie un evento per ricordare pubblicamente Mons. Orazio Semeraro per la sua statura culturale e la sua funzione educativa. La risposta di un ex sindaco fu negativa in quanto tale personaggio, rispetto al suo metro di giudizio, “non aveva prodotto nulla per il paese”. Ancora una volta un pubblico amministratore ebbe modo di dimostrare la sua miopia culturale, confermando di essere inadatto ed insensibile alla gestione e alla crescita sociale della sua comunità.

Concilio Vaticano II

Luigi Mazzotta

11 Febbraio 2021

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