Mario Rizzo: «Cosa ci resta un Secolo dopo?» Contributo al dibattito sul Centenario dalla fine della Prima Guerra Mondiale

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Mario Rizzo interviene sul dibattito aperto da Angelo Cipolla e Antonio Greco in occasione della ricorrenza del Centenario dalla fine della Grande Guerra

Lettera integrale di Mario Rizzo:

Entro in punta di piedi in questo scambio di opinioni tra Angelo Cipolla e Antonio Greco. Modestamente accetto l’invito di Antonio a proporre una rilettura storiografica con basi scientifiche e non parziali o sentimentali. A me pare che gli articoli di Antonio e Angelo abbiano schegge e frantumi ideologico-sentimentali che possono far parte dello stesso periodo transitorio del ‘900: l’ammirazione e la fascinazione che emanano quei cimeli, quelle medaglie, e quindi il racconto epico di quel nonno-ragazzo del ’99, partito verso un terrificante non luogo infernale a fare ‘quel che piace a Dio’, e la posizione di Antonio che osserva con spirito critico i numerosi attori della Grande Guerra.

Entro in punta di piedi, ripeto: le due posizioni, è evidente, sono piene di sentimento, di emozioni che ancora li/ci stimolano a riflettere, a cercar di capire quei fatti e quel mondo.

Non sono uno storico; ma spesso provo a cercar di capire qualcosa di quegli anni, iniziando proprio da quell’Ultima estate dell’Europa: ho sempre l’impressione che ogni informazione, ogni documento, ogni pagina confonda ancor di più la famosa ‘scintilla’ con la quale inizia la narrazione storica di quel 28 giugno del 1914 a Sarajevo…

La Grande Guerra è molto più complessa. Tanti erano i fattori pronti ad esplodere, ed esplosero, quella mattina del 28 giugno: non si trattò di un’unica esplosione, ma di una reazione a catena.

Non c’è un motivo: ce ne sono migliaia; ma, su tutti, alcuni credo siano l’uscita dal ‘mondo antico idealista’ e l’entrata in quello pienamente tecnologico della seconda rivoluzione industriale. Per Heidegger, la tecnica è il fenomeno che caratterizza il nostro tempo, ma non basta: non può bastare se alla tecnica non si unisce il neocapitalismo di stampo puramente finanziario. Sotto i colpi di pistola di Princip, crollano le categorie storiche risorgimentali e si fa spazio il nichilismo finanziario-tecnocratico. Altro che Belle époque, dov’erano le magnifiche sorti e progressive? E la grande e ottimistica avventura del progresso?

Il resto lo conosciamo: cifre che fanno venire il capogiro… milioni di morti, feriti nel corpo e nello spirito… Caporetto… e lutti… mutilatini, perfino la Vittoria fu Vittoria mutilata.

E il ‘secolo breve’ ebbe inizio con quei colpi di pistola.

Si aprirono scenari nuovi, si innescarono sogni, utopie di giustizia, in quegli anni terribili… la rivoluzione in Russia agevolata dai finanziamenti della Germania (ottobre 1917), la lettera del ministro degli esteri inglese Balfour a Rothschild nella quale si guarda con favore a una national home for the Jewish people (novembre 1917)… la dissoluzione e l’umiliazione di imperi, popoli allo sbando, etnie da macellare …odio, odio, tanto odio da distruggere il mondo… un po’ di pazienza, solo vent’anni, il tempo di attrezzarsi…

Non credo che la Chiesa abbia avuto un ruolo importante in nessuna delle due guerre, complice molto spesso di regimi disumani. Nella Grande Guerra la nota sull’inutile strage di Benedetto XV arrivò veramente troppo tardi. Rimane di positivo il prete soldato nelle trincee a consolare poveri soldati prima degli attacchi, a scrivere lettere piene di retorica bellica ai famigliari dei soldati morti, consolare i condannati a morte per diserzione, le sante messe… di questi sacerdoti fece parte anche don Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, e il nostro don Natalizio Mele.

Nella seconda guerra la Chiesa fece ancora meno e anche peggio: aveva venduto la sua anima per le monetine che cadevano dai Patti Lateranensi. Vogliamo ricordare i silenzi colpevoli all’emanazione delle leggi in difesa della razza del 1938? Ed evito di aprire il capitolo della Shoah.

Il 4 novembre del 1918 non finì nessuna guerra… avevano terminato solo i proiettili; non c’è discontinuità tra la prima e la seconda: tutto procede logicamente e in modo inequivocabile verso la seconda guerra.

Il secolo breve è questa grande novità tecnica e capitalistica. L’aveva intuito Nietzsche: dio è morto! La nuova umanità non è orfana: ha se stessa, sicura della tecnica e della finanza. Tecnica e capitale dal ’18 al ’39, cioè in soli 20 anni, compiono una rivoluzione senza pari….

Quando finisce il secolo breve nel 1989, emergono nuove e impreviste contraddizioni: “noi e loro”, la cortina, il muro… Altri muri e concentrazioni capitalistiche, distruzione delle risorse e squilibri ambientali. È ormai troppo piccolo il mondo per i nostri appetiti… il 17% di popolazione consuma l’80% delle risorse. E le nuove contraddizioni. Il mondo è il contrario di quello che sognavamo: ingiustizie, guerre religiose, fame, sfruttamento, concentrazione delle ricchezze in poche mani e la tecnica sono il motore del mondo… Quale umanesimo per il futuro? Oppure un vuoto eterno presente che ha le sue radici nel cuore della seconda rivoluzione industriale?

Continuità da quel 28 giugno del 1914, continuità con i poveri ragazzi morti nelle trincee, continuità con le pulizie etniche, continuità nel perdurante processo nichilista… continuità. Processare la storia o processare il presente?

Cosa ci resta un secolo dopo? Come ricordare i poveri morti? Il sangue dei terroni mandati al macello? Ci restano i Cavaliere di Vittorio Veneto e l’ossessivo PRESENTE di Redipuglia. Neanche la pace siamo riusciti a dare a quei poveri resti, l’ossessivo PRESENTE su quella collina ricoperta di ragazzi, anche quelli del ’99, di ragazzi che avrebbero voluto riposare in un cimitero di campagna.

Vi saluto caramente

Mario Rizzo

11 novembre 2018

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