«LE PIETRE RACCONTANO LA NOSTRA STORIA» Una ricerca di C. Fai e A. De Benedittis

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Una ricerca nata per caso riporta alla luce frammenti di Storia Locale legata a quella Nazionale

Cosimo FAI e Antonio DE BENEDITTIS seguendo le tracce di “Pietre” e “Cartoline” regalano un tuffo nel passato

(Pillole di Storia Locale)

Articolo di Antonio De Benedittis e Cosimo Fai

VEGLIE – Chiunque presti attenzione alle “pietre”, ne riceve in cambio informazioni riguardo la loro e la nostra “storia”. È il caso della lapide del “Ventennio” abbandonata nel cimitero comunale di Veglie.   Una lapide in marmo massiccio, di cm 80×160,  che 81 anni fa Mussolini fece installare su tutte le facciate dei Comuni d’Italia a ricordo dell’embargo subito a seguito alla guerra contro l’Etiopia. All’interno di una cornice sgusciata è incisa un’epigrafe  in cui è ancora possibile leggere, senza difficoltà, il messaggio.

La lapide si presenta rotta in tre parti  ma ancora intatta dal punto di vista della scrittura scolpita nel lontano 1935.

Una pagina di storia ritrovata per caso. Una targa che per tanti anni è rimasta inosservata ritenendo fossero delle insignificanti pietre buttate in un terreno. Da alcune ricerche effettuate possiamo affermare con certezza che è una delle poche rimaste in tutta Italia. Ma quale episodio di Storia ricorda l’incisione su questa targa marmorea posta in ogni Comune Italiano? Proviamo a riassumere.

Il 18 novembre 1935 (anno XIV dell’era fascista)  segna la data  in cui  i 52 paesi facenti parte della “Società delle Nazioni” (che poi diventarono l’Onu)  impongono all’Italia, colpevole di aver aperto le ostilità contro l’Etiopia,  “l’assedio economico” (vale a dire: la rottura immediata di tutte le relazioni commerciali e finanziarie; la proibizione di relazioni tra i cittadini propri e quelli della nazione che infrange il patto; l’astensione di ogni relazione finanziaria, commerciale o personale tra i cittadini della nazione violatrice del patto e i cittadini di qualsiasi altro paese, membro della Lega o no).

Le sanzioni, pur tuttavia, risultarono inefficaci perché numerosi Paesi, pur avendo votato a favore dell’Assedio economico, continuarono a mantenere buoni rapporti con l’Italia, rifornendola di materie prime.

Pochi giorni dopo l’emanazione delle sanzioni, il partito nazionale fascista diede il via alla campagna Oro alla Patria. Un mese dopo la deliberazione della Società delle Nazioni, il 18 dicembre 1935  fu proclamata la Giornata della fede“, giorno in cui gli italiani furono chiamati a donare le proprie fedi nuziali d’oro per sostenere i costi della guerra e far fronte alle difficoltà delle sanzioni.

In Italia, in questo periodo, si afferma una parola che sarà usata in molti settori: “Autarchia”. La penisola si scopre isola e si cerca in tutti i modi di essere autosufficienti in ogni  ambito. L’autarchia, figlia delle sanzioni, è una sferzata per il popolo e ne eccita l’orgoglio. Gli italiani sono chiamati dal fascismo a “consumare Italia“. Il regime alimenta il mito dell’autosufficienza. Si sostituisce il tè con il carcadè, il carbone con la lignite, la lana con il lanital, si abolisce il caffè “che fa male”, si raccolgono gli stracci, la carta, le pentole di rame, si sostituisce il cuoio con impasti vari, si estrae il cotone con le fibre di ginestra, si mobilitano le sezioni del Dopolavoro per “dare il massimo impulso alla coniglicoltura”. Le donne calzano scarpe con suole di sughero, gli uomini di gomma. Nelle pentole entrano più castagne che carne e la cicoria è promossa a caffè. Sui muri, a incitare gli italiani a una forte coscienza nazionale, spiccano i fatidici slogan firmati Mussolini. Tra i più diffusi troviamo: “È l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende“.

A seguito delle decisioni della “Società delle Nazioni”, in data 28 febbraio 1936 giunse a tutti i Comuni del regno una disposizione da parte delle Prefetture che recitava: “Il Gran Consiglio del Fascismo, con sua decisione del 16 novembre u.s. stabilì che sulle case di tutti i Comuni del Regno fosse murata una pietra ricordo dell’assedio economico”.

Modulo per ordinare la Lapide
Modulo per ordinare la Lapide

Le disposizioni erano precise, oltre che per l’iscrizione da far incidere sulla lapide, anche per quanto riguarda il tipo di lapide. Infatti Mussolini dispose che le targhe fossero eseguite in “marmo bianco di Carrara”, dando precise indicazioni anche sul modello, che doveva essere uguale per tutti i Comuni. I formati invece erano tre, a seconda dell’importanza del Comune, e ne venivano indicati anche i relativi costi.

Alle Amministrazioni non restava che deliberare l’acquisto della lapide e provvedere all’ordine. La ditta incaricata per la realizzazione delle targhe era la “Società Generale Marmi e Pietre d’Italia di Carrara”, sezione lavorati di Viareggio.

Il 2 marzo dello stesso anno il Podestà di Veglie, sollecitato dal prefetto Pietro Bruno, “allo scopo di testimoniare ai posteri la vigliacca politica di diverse nazioni, le quali minacciano l’ascesa imperiale dell’Italia Fascista di Mussolini”, delibera l’acquisto di una lapide in marmo bianco di Carrara di dimensioni di metri 1,60x 0,80×0,125, per il prezzo di lire 850, da appore su una parete   del Municipio.

In seguito giunse un’ulteriore comunicazione da parte delle Prefetture che dava indicazione di non murare la lapide e di restare in attesa di ulteriori comunicazioni in merito alla data per la simultanea inaugurazione in tutti i Comuni del regno.

Intanto i Comuni dovevano individuare il punto idoneo sulla facciata dell’edificio comunale per la posa della lapide, lasciando “libero altro congruo spazio per l’apposizione di altra targa appendice, tra i sostegni della lapide a ricordo sopraddetta, riportante l’elenco dei paesi sanzionisti“.

La targa oggetto della presente comunicazione, fu posizionata all’interno del palazzo comunale, e, si suppone, inaugurata secondo tutti i dettami del Gran Consiglio.

Ma Veglie ha anche un’altra storia che lo fa distinguere dagli altri comuni per una rara particolarità.

Con la lapide descritta in precedenza il Comune di Veglie celebra il giorno dell’assedio così come richiesto, ma, con una seconda lapide, celebra anche l’avvenimento successivo, cioè quello del 9 maggio 1936:”La proclamazione dell’Impero”.  Questa seconda lapide, delle dimensioni di cm 90×114  sarà collocata, questa volta, sulla facciata principale del “Vecchio Comune”, in piazza Umberto I. Su questa seconda lapide verranno incise le parole che Mussolini pronunciò alle 22,30 del 9 maggio 1936, parlando alla folla radunata sotto il balcone di Palazzo Venezia:

Targa 9 Maggio 1936
Targa 9 Maggio 1936, attualmente depositata nel Convento Francescano di Veglie

Nelle foto seguenti è possibile vedere come era posizionata la lapide sulla facciata del vecchio Municipio in Piazza Umberto I. Inoltre alcuni documenti riguardanti la pianta dello stesso:

Alla caduta del regime fascista, quasi tutte le lapidi nelle città italiane furono rimosse. Ne resta ancora qualche esemplare. Le due lapidi presenti a Veglie rappresentano un’eccezione. Stando alle foto, di molto successive alla caduta del fascismo, entrambe le targhe sarebbero rimaste ancora al loro posto, non a celebrare ma a ricordare, se negli anni sessanta una scellerata gestione della cosa pubblica non avesse deciso di “abbattere” il vecchio municipio… ma questa è tutta un’altra triste storia.

Mentre la lapide del 9 maggio 1936 è stata conservata per anni nel chiostro del Convento dei Francescani, la prima, quella del 18 novembre 1935, fino a pochi giorni fa era sepolta dai rifiuti e abbandonata in uno spazio all’aperto antistante l’entrata del Convento dei Francescani.

Oggi, queste targhe,  rappresentano una sorta di reperto storico che, nel bene e nel male, documentano la Storia del nostro Paese.

La targa del 1935  è stata ripulita e posizionata su un apposito supporto in ferro collocandola all’interno del chiostro dei Frati Minori Conventuali di Veglie. Ora le targhe sono meglio fruibili da parte del  pubblico che avrà l’opportunità di visitare il Convento. Si  avrà l’occasione di comprendere meglio il nostro passato, senza alcuna nostalgia, e sottolineare e ricordare gli errori della Storia.

…E quando si pensa di aver concluso le ricerche sulle lapidi commemorative di Veglie, ecco spuntare dal nulla altre tracce che fanno percorrere nuove ed interessanti ipotesi. Una cartolina ha stimolato la curiosità di Antonio De Benedittis che  suppone l’esistenza di una terza targa.

L’esistenza di una terza lapide commemorativa a Veglie è documentata in una cartolina postale viaggiata da Veglie a Falconara Marittima di recente rivenuta da Alessio Paladini, appassionato ricercatore di documenti antichi  che ama dedicare il suo tempo libero ai mercatini dell’usato e  siti internet specializzati.

La cartolina postale, stampata su carta fotografica prodotta dalla società belga Gevaert, riproduce una lapide di marmo con cui l’amministrazione comunale, presieduta dal sindaco Renato Negro, rendeva omaggio ai caduti e ai reduci vegliesi della guerra Italo-Turca, conosciuta meglio come la guerra di Libia.

Non si hanno notizie orali o scritte che facessero conoscere il  luogo dove era posizionata questa lapide, ma si ha motivo di ritenere che fosse posizionata nell’unico edificio di proprietà del Comune che era il vecchio Municipio in piazza e più precisamente  nella parete a sinistra all’interno dell’atrio principale.

La lapide riportava la seguente dicitura: «MENTRE LE ARMI D’ITALIA RINNOVANTI LE ROMANE GESTA COMPIONO LA CONQUISTA D’OLTREMARE E SULLE TERRE DI LIBIA SI MATURA L’AVVENTO D’OGNI LUMINOSA PROMESSA VEGLIE ONORA GLI EROI CADUTI E PREMIA I SUOI CITTADINI REDUCI DALLA GUERRA GLORIOSA – GIUGNO MCMXIII»

Nella cartolina non c’è alcun riferimento alla data di spedizione e tanto meno  questa può essere rilevata dal timbro a secco apposto dall’ufficio postale in quanto illeggibile, tuttavia, grazie alla filatelia, si può affermare che sia stata spedita tra il 1929 e il 1933. Infatti il francobollo di 20 centesimi color carminio recante l’effige di C. Giulio Cesare con cui è stata affrancata,  faceva parte della serie “Imperiale” emessa il 21 aprile 1929, evidente quindi che la cartolina è stata spedita successivamente  (cfr. Catalogo Sassone, francobollo n. 247).

Destinatario della cartolina era il Nobil Uomo  Primo Capitano Vitaliano Mariano (Veglie, 1881, ivi 1936), figlio di Vitale e di Rosa Spagnolo, fratello dell’arciprete Pasquale Mariano,  residente a  Falconara Marittima (Ancona). Mentre il mittente era  il podestà Giuseppe Negro, amico di famiglia. In calce alla cartolina il podestà scrive: “Con affetto benaugurando”. Difficile capire a cosa si riferissero gli auguri, molto probabilmente  allo stato di salute visto che il 15 marzo 1936 poco dopo il suo rientro a Veglie  perché  gravemente ammalato,  muore nella Villa Carlolupo (Casino del Capitano) che si era fatta costruire dal fratello Giovanni; aveva 54 anni. Al momento del decesso aveva raggiunto il grado di Maggiore dell’Esercito italiano. Dopo pochi anni, nel 1941, la moglie che era la nobildonna Ines Pergoli Campanelli, lascia Veglie e rientra a Falconara Marittima con i suoi tre figli.

Ma esiste ancora una quarta lapide che manca all’appello. Originariamente era collocata sulla colonna celebrativa dei caduti della prima guerra mondiale che si trovava in Parco Rimembranze. Misurava cm. 50xcm. 60 circa ed è stata rimossa dopo gli anni ’50.  Non è dato sapere cosa c’era raffigurato o scritto.

Questa puntata finisce qui. Da parte nostra continueremo a “divertirci” alla ricerca della nostra Storia con la speranza di incuriosire ed appassionare anche i vegliesi.

Cosimo FAI

Antonio DE BENEDITTIS

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