Il prof. Antonio Greco commenta il Consiglio Comunale di Veglie che in un’ora ha approvato DUP e Bilancio di Previsione

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Antonio Greco: «Non è Il paese ad essere estraneo all’ente locale ma viceversa»

Di seguito la lettera del prof. Antonio Greco:

Mi ha incuriosito un fatto: su Controvoci, giornale online che da anni trasmette in diretta le vicende del Consiglio comunale di Veglie, non vi è traccia della seduta “ordinaria” del Consiglio del 13 maggio u.s. in cui è stato approvato il bilancio di previsione per l’anno 2019.

L’approvazione del bilancio preventivo, cioè l’atto con il quale si decide come spendere durante l’anno i soldi delle tasse e dei tributi dei cittadini, è l’atto fondamentale della democrazia locale. Eppure, di norma, diventa un atto “ordinario” dell’attività amministrativa che non ha nessun rapporto con la vita democratica di una comunità. Basta salvare la norma che impone la sua approvazione, con regole e tempi stabiliti, pena lo scioglimento del Consiglio e la perdita delle poltrone da parte degli eletti in carica.

A Veglie, il 13 maggio 2019, in poco più di un’ora, è stato discusso il Documento Unico di Programmazione (DUP) e il Bilancio di Previsione 2019 ed è stato approvato con 9 voti a favore, 7 contrari (una consigliera di minoranza assente). Vi sono stati, per le due delibere interventi di due assessori, di tre consiglieri della minoranza e del sindaco. Questi i numeri della cronaca. I contenuti del bilancio e del dibattito si possono leggere consultando i verbali della seduta sul sito del comune.

E’ malinconico, dopo quattro anni (è stato il quarto bilancio approvato dall’amministrazione attuale) leggere i soliti argomenti: i debiti delle passate amministrazioni, non ci sono soldi, manca il personale…. Ma non è questo che mi interessa.

Mi interessa fare solo due semplici considerazioni:

  • Non è Il paese ad essere estraneo all’ente locale ma viceversa. Se non sono interessati i cosiddetti partiti, non i sindacati, non i gruppi organizzati, non i singoli cittadini, adesso è venuto meno anche l’interesse dei giornali locali on line (al di là di giustificata o meno trasmissione della seduta), c’è un perché. Non regge la spiegazione di chi pensa, anche tra gli stessi consiglieri comunali, che “stiamo alla fine e speriamo, rassegnati, che questa amministrazione vada a casa quanto prima”. Questa spiegazione sottende il pensiero che basta cambiare le persone per rendere più democratica la istituzione locale. Certo, la qualità delle persone che guidano una amministrazione conta. Non è indifferente se chi si è fatto eleggere ha motivazioni di servizio o motivazioni di basso profilo (la indennità per pagarsi il mutuo, sedersi su una piccola poltrona del potere per il riconoscimento e il successo sociale…). Ma penso che sia più vera un’altra spiegazione: questo modello di ente locale serve più a se stesso, ai 17 amministratori e 30-40 dipendenti che al paese. Le regole attuali di vita amministrativa sono vecchie e superate. Il Testo Unico Enti Locali è dell’anno 2000. La riforma del titolo V della Costituzione, che ha aggiornato il ruolo dei comuni e ha puntato molto sulla loro autonomia, è successiva, del 2001. Ma del Testo Unico del 2000 nulla è stato cambiato. Sono passati 18 anni e si aspettano ancora gli adeguamenti legislativi alle nuove esigenze democratiche delle varie e diverse comunità locali. E’ intollerabile che in questi anni sia stata posta tanta attenzione alla architettura istituzionale statale e intermedia (Regione Salento o Regione Puglia, sì o no alla Province, Unione dei Comuni fallite, Fusione dei Comuni improbabile ….) e non vi sia stata minima attenzione al “Comune”: “unità primordiale”, “società naturale” e alla sua autonomia, unica via per spingere una comunità locale alla partecipazione gestionale e finanziaria di se stessa. Nelle autonomie locali si ha un «ingrandimento della persona umana», e «senza istituzioni locali una nazione può darsi un governo libero, ma non lo spirito della libertà» si legge nella relazione di Meuccio Ruini alla Assemblea Costituente, il 6 febbraio 1947. Dopo tanti anni richiamiamo questi ottimi principi, ma quasi del tutto rimasti al palo. E’ da rivedere la legge elettorale n. 81/93 (elezione diretta del sindaco). Non regge più il rapporto tra funzionari e amministratori come formulato da Bassanini. Non ha più senso che un paese di 14 mila abitanti sia amministrato da un consiglio comunale di soli 16 consiglieri. E’ politicamente assurdo il fatto che una amministrazione perda un terzo dei consiglieri di maggioranza, passati all’opposizione, e il sindaco per anni continui ad amministrare con un solo voto in più, il suo. E’ salva la forma della democrazia ma non certamente la sostanza.
  • Una istituzione locale deformata e piegata a “gruppi predatori e parassiti”  La espressione virgolettata non è mia. E’ di un grande intellettuale scomparso nel 2003: Gianni Giannotti, sociologo impegnato, socialista integerrimo. Qualche giorno prima di morire aveva concluso alcune lezioni all’Università del Salento per un corso di sociologia sul tema “Il mezzogiorno e il sottosviluppo” di cui sono stati pubblicati i testi in un volume dal titolo Sociologia e sviluppo del Mezzogiorno[1], edito da Besa, nel 2016. Giannotti dimostra come il sottosviluppo è sempre la prima causa di sè medesimo: esso tende a riprodurre condizioni e atteggiamenti che non consentono lo sviluppo. “Il controllo del sistema locale di potere richiede che i gruppi predatori ottengano, se non la complicità, l’adesione delle fasce piccolo borghesi alla politica locale portata avanti da loro uomini di fiducia” (pag. 93). Per tornare alla nostra concreta realtà molti sarebbero gli esempi del controllo dell’ente locale di cui scrive Giannotti da parte di gruppi predatori nei settori degli appalti, dell’utilizzo dei fondi comunitari, dei servizi e, ultimo ma non ultimo, nell’urbanistica. In quest’ultimo settore c’è un dato politico interessante che risalta dalla lettura dei verbali del Consiglio Comunale del 13 maggio u.s.: il nodo del PUG (Piano urbanistico generale). E’ stato sollevato da un consigliere che ha concluso il suo intervento così: “Lo strumento urbanistico, il PUG, poteva essere l’occasione vera di questa Amministrazione e di tutta la comunità per invertire questo dato, l’andamento di questa cornice demografica molto scoraggiante e invece di avere il ringraziamento di poche persone per non aver fatto il PUG avremmo avuto il ringraziamento di tutta la comunità per aver quantomeno pensato a dare il via a questo strumento” (Verbale di Seduta Consiliare del 9 Maggio 2019, punto n. 2 all’O.d.G.).

E’ questo un passaggio, breve ma significativo, non so quanto percepito dai presenti.

Ho seguito la vicenda, lunga e complessa, del PUG di Veglie come assessore all’urbanistica dal 2010 fino alle dimissioni volontarie nel novembre 2012. Rinvio alla scheda allegata che percorre il lungo e penoso cammino amministrativo[2]. Mi preme qui, però, sottolineare un fatto: già nel 2011 sono state trovate le risorse economiche, è stata fatta una delibera di Giunta (n. 51 del 25/03/2011 avente per OGGETTO: REDAZIONE DEL PIANO URBANISTICO GENERALE DEL COMUNE DI VEGLIE – DETERMINAZIONI (che si allega[3]); è stata pubblicata una Determina (n. 621 Reg. Generale del 28/12/2012) con la quale si approvava l’AVVISO PUBBLICO INDAGINE DI MERCATO ESPLORATIVA PROPEDEUTICA[4] per la redazione del PUG, e sono pervenute le relative offerte. Ricordo che pervenne una nota critica dell’Ordine degli ingegneri di Lecce per l’esclusione dall’avviso di una categoria di professionisti. Sono passati sette anni, ripetiamo sette anni, e tutto è ancora fermo e bloccato, come si evince dal dibattito consiliare. Perché? E chi sono coloro che ringraziano gli attuali amministratori per non aver fatto il PUG?

Gli interrogativi non servono per conoscere o individuare nomi e cognomi. Interessa qui capire perché un ente locale, pur potendolo, non si dà strumenti adeguati per ammodernarsi, perché prevale l’interesse di pochi su quello di tutti. E ancora di più interessa capire come uscire da questa situazione in cui l’ente locale appare inutile o, peggio, utile solo a pochi. Senza aspettare lo Stato, il Governo o i politici nazionali perché se la spinta al cambiamento non parte dalle istituzioni locali, l’attesa sarà vana.

Non ho ricette, ma qualche idea sì. Non ci sono, però, soluzioni facili. Il sentiero è tracciato: servono nuove persone e nuove regole per liberare la istituzione primaria, la più vicina ai cittadini. Ho fiducia in un contesto nuovo che è intorno a quest’ente istituzionale più fragile e più trascurato dalla politica nazionale. Il contesto mostra un livello di istruzione molto più alto che nel passato, un associazionismo diffuso, servizi e strutture commerciali più moderni. Da questo contesto possono emergere cittadini che hanno assimilato valori diversi da quelli tradizionali del sottosviluppo, della dipendenza, del parassitismo. A costoro bisogna far aprire la mente, con lo studio e la ricerca dei fenomeni locali e il loro riflesso sull’ente locale, e il cuore, con l’apertura all’impegno e alla responsabilità verso un nuovo paradigma di ente locale, che ha bisogno di nuove leggi, nuove guide e nuova partecipazione.

18 maggio 2019

Antonio Greco

[1] Per una breve recensione del testo si può consultare il sito: https://manifesto4ottobre.blog/2019/05/18/il-sud-e-lo-spirito-di-comunita/

[2] >>>Scheda n. 1

[3] >>>Delibera GC n. 51/2011

[4] >>>Determina n. 621/2012

 

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