Nessun colpevole per la morte dell’uomo allontanatosi da casa il 5 Novembre del 1989, senza lasciare tracce
Accusato di essere il mandante, era stato condannato a 30 anni in primo grado
(da La Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 31 Marzo 2015)
VEGLIE – Non fu Antonio Pulli ad uccidere Giovanni Corigliano, allontanatosi dalla sua abitazione di Veglie il 5 novembre 1989 senza lasciare traccia di sè.
Ne sono convinti i giudici della Corte d’Assise d’Appello (presidente Maurizio Scardia, a latere Antonio Del Coco ed i giudici popolari) che ieri lo hanno assolto dall’accusa di omicidio volontario «per non aver commesso il fatto».
Ribaltata, dunque, la sentenza di primo grado emessa il 29 maggio scorso dal giudice dell’udienza preliminare Simona Panzera, nella quale l’imputato era stato condannato a 30 anni di reclusione.
Secondo l’Accusa Corigliano sarebbe stato ucciso perché sospettato di aver iniziato a rifornirsi di droga dal clan avversario a quello di Mario Tornese. Le ricerche del cadavere effettuate nei luoghi indicati da due collaboratori di giustizia, Cosimo Cirfeta prima e Dario Toma dopo, non hanno permesso di individuare il luogo della sepoltura.
La difesa, rappresentata dall’avvocato Andrea Starace, era tornata a ribadire l’inattendibilità dei pentiti che accusavano Pulli e l’assenza di riscontri alle loro dichiarazioni.
È ormai definitiva l’assoluzione nei confronti di Claudio Conte, ergastolano di Copertino che in primo grado venne processato insieme a Pulli, ma ritenuto non colpevole. A Conte era stato attribuito l’omicidio di Ugo Causio, neretino ammazzato nel 1991. Anche in questo caso contro l’imputato c’erano solo le dichiarazioni dei pentiti.
Entrambi gli imputati erano rimasti coinvolti nell’inchiesta «Maciste 2», condotta dal pubblico ministero Guglielmo Cataldi, che aveva fatto luce su alcuni vecchi delitti di mafia alla luce delle dichiarazioni dei pentiti.
(a La Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 31 Marzo 2015
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[divider]dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Martedì 31 Marzo 2015 – di A. Cel.[/divider]
Fu accusato dal pentito: assolto per la lupara bianca
Appello favorevole a Pulli per l’omicidio Corigliano. In primo grado condannato a 30 anni
VEGLIE – Non è stato lui a premere il grilletto, né a ordinare l’omicidio di Giovanni Corigliano, di Veglie. Antonio Pulli, 60 anni, è stato assolto ieri dalla Corte d’Assise d’Appello «per non aver commesso il fatto». La sentenza è giunta dopo diverse ore di camera di consiglio, dopo le udienze che si sono svolte nell’aula bunker del carcere di Lecce.
Pulli, al termine del processo di primo grado con rito abbreviato era stato condannato a 30 anni di carcere.
Si conclude così l’ennesimo capitolo giudiziario di una vicenda con tanti presunti responsabili e nemmeno un corpo: Corigliano, infatti, è stato vittima di “lupara bianca”, come si dice in questi casi. Ovvero, appare ormai certo l’omicidio, avvenuto nel novembre del 1989, ma il cadavere non è mai stato ritrovato.
Questo non ha impedito alla giustizia di fare il suo corso: negli anni, infatti, sono stati condannati i fratelli Cosimo e Antonio D’Agostino (con sentenza ormai definitiva), nonché (recentemente) Giovanni De Tommasi, al quale è stata inflitta la pena dell’ergastolo in primo grado.
Ma Antonio Pulli, secondo i giudici, non prese parte a quel summit in cui si decise di eliminare Corigliano. Questa la conclusione a cui si può giungere dopo la sentenza di ieri. Per avere un quadro più preciso bisognerà attendere il deposito della sentenza.
Ad accusare Pulli c’erano le parole dell’ex braccio destro di Gianni De Tommasi, il collaboratore di giustizia Dario Toma, che nel corso di un’udienza aveva raccontato dell’incontro avuto con i D’Agostino, Pulli e De Tommasi in una masseria di Gallipoli.
Qui sarebbe stato deciso l’omicidio di Corigliano, la cui colpa – nell’ottica criminale – sarebbe stata quella di essersi avvicinato troppo al clan Tornese e di volersi dedicare agli “affari” per conto suo. In particolare, avrebbe deciso di acquistare droga dal clan Tornese e non dai fratelli D’Agostino. «lo ero in quella masseria – dichiarò in videoconferenza Toma – ma non diedi il mio placet all’omicidio. Dopo un paio di giorni, però, il delitto venne comunque consumato. Corigliano fu accompagnato dai fratelli D’Agostino in un luogo appartato alla periferia tra Salice Salentino e Campi con il pretesto di incontrare De Tommasi. In attesa del suo arrivo, fu preparata una buca nei pressi di una discarica edile.
Secondo la ricostruzione di Toma, la vittima fu crivellata di colpi appena scesa dall’auto, ma nonostante ciò era ancora in vita. E quel punto – raccontò Toma – «mi tolsi la pistola, una calibro 38, dalla cintola dei pantaloni e gli diedi il colpo di grazia sparandolo in testa». Nonostante ci fu chi indicò il presunto luogo di sepoltura di Corigliano, il suo corpo non fu mai ritrovato.
Se Toma dipinse Pulli nelle vesti di mandante, altri collaboratori di giustizia lo avrebbero collocato sulla scena del delitto come esecutore materiale. «Dichiarazioni incongruenti e inconciliabili», per l’avvocato Andrea Starace, che nel processo di secondo grado ha difeso il 60 enne.
Le parole dei pentiti, in ogni caso, trovarono posto nella sentenza di primo grado: il giudice per l’udienza preliminare Simona Panzera, infatti, condannò Pulli a trent’anni di carcere, riconoscendo il suo ruolo nell’omicidio. Sentenza completamente ribalta ieri, al termine del giudizio di appello, con il verdetto di assoluzione.
dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Martedì 31 Marzo 2015 – di A. Cel
[…] Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla Procura Generale di Lecce e pertanto la sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di Appello di Lecce nei confronti di Antonio Pulli, originario di Veglie, è diventata […]