Antonio Greco: «C’era una “(s)volta”: un paese che si consuma nel silenzio»

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Lettera del prof. Antonio Greco riguardante l’attuale crisi amministrativa vegliese

Veglie non è un’isola. Anche la sua vita sociale si inserisce in un contesto più ampio, nazionale e mondiale. Alle vulnerabilità economiche e sociali strutturali, di lungo periodo, si aggiungono adesso gli effetti deleteri delle quattro crisi sovrapposte dell’ultimo triennio: la pandemia perdurante con una sanità al collasso per mancanza di medici e infermieri, la guerra cruenta alle porte dell’Europa, l’alta inflazione, la morsa energetica. E la paura straniante di essere esposti a rischi globali incontrollabili.

In questo contesto malinconico si inserisce anche Veglie, un paese del meridione, con poca coesione sociale, con la piaga della disoccupazione, con la crisi delle imprese locali accelerata dalla crisi energetica, con l’ineluttabile invecchiamento della popolazione, con la fuga delle giovani intelligenze e con una pubblica amministrazione che ha un record, forse nazionale: dal 1993, data in cui si è votato per la prima volta con il sistema maggioritario per l’elezione diretta del sindaco, su sette consiliature sei si sono concluse prima del termine stabilito per legge (cfr. scheda allegata).

1)  Quale lettura della crisi amministrativa?

Per capire e fare una lettura approfondita della crisi non basta prendersela con un sindaco, che è il primo responsabile di una vita amministrativa anche quando in sette anni non ha mai riconosciuto di aver commesso un mezzo errore, che non ha mai fatto autocritica, che ha dato sempre la colpa agli altri e che ha spento qualsiasi forma di dissenso. Non credo nemmeno che basti puntare il dito sui “dimissionari”: le motivazioni del loro gesto sono diverse. Ed è ingeneroso pensare che tutti lo abbiano fatto per “invidia” o per “un assessorato” o perché “disinteressati al bene pubblico”.

Il giudizio sugli ultimi sette anni di vita amministrativa rimane negativo ed è imbarazzante dover ricordare questi anni solo per le due sfiducie allo stesso sindaco e non per altro.

Ma fermarsi a leggere solo l’atto finale dello scioglimento dell’ultimo Consiglio Comunale serve, al massimo, a dirsi: “Avanti, alla prossima…, con l’augurio che non si giochi sempre lo stesso gioco delle carte a mazzetto, al più con le stesse carte in mazzetti diversi, mazzetti costituiti solo per vincere e non per amministrare”.

Dopo 30 anni, la riflessione sulla attuale situazione politico amministrativa impone di andare oltre il perché immediato dell’ennesimo scioglimento del consiglio comunale e chiedersi: perché, da tempo, si è creato un enorme distanziamento fra “i decisori amministrativi” e “gli ubbidienti”, cioè la gran massa dei cittadini? Perché questi non reagiscono più? Perché tanta rassegnazione? Perché la critica e il dissenso, quando ci sono, sono inquinati da questioni personali e relegati ai social, con il rischio di apparire una popolazione di cani abbaianti alla luna senza risultati incisivi?

A questi interrogativi tento di dare una mia risposta.

2) Un po’ di storia

Da tempo sono venute meno le precondizioni necessarie per elaborare punti di vista condivisi dentro il paese: nel dopoguerra e fino alla fine degli anni ’70, quando il benessere non ci aveva ancora fiaccati, l’opinione pubblica (qualcuno l’ha chiamata “la chiazza”) non era orientata solo dai partiti ma esistevano figure professionali considerate naturali punti di riferimento: gli insegnanti, gli avvocati, i medici, gli ingegneri/architetti, qualche dipendente comunale, alcuni preti… Questi soggetti, non molti ma autorevoli, animavano i dibattiti, supportavano i partiti, davano vita a scontri tra gruppi e movimenti ideologici, contaminavano le più giovani generazioni. C’era un confronto e nessuno mostrava di aver paura di porsi in contraddizione ad altri, anzi l’argomentazione bonaria -pro e contro- definiva e supportava una vita pubblica estesa a livelli popolari. La vita dei partiti politici si inseriva in questo humus. Le decisioni amministrative, quelle più importanti, erano filtrate da questo clima sociale: penso alla formazione del Piano Regolatore Generale e alle 250 osservazioni fatte da cittadini alla proposta adottata agli inizi degli anni ‘80, penso ai tanti “numero 0” di giornali di partito, di movimenti, di associazioni, al periodico bollettino parrocchiale, che si stampavano e che costavano, penso ad alcune formazioni giovanili impegnate nella contestazione delle istituzioni, ingenerosamente stroncate, penso alla iscrizione di 300 vegliesi alle commissioni comunali agli inizi degli anni ’90, solo per fare alcuni esempi. Non era l’età dell’oro della democrazia locale, anche in quegli anni i più si limitavano ad andare a votare o solo ad avere la tessera di un partito senza mai partecipare ad una assemblea o a un dibattito. Ma la distanza tra decisori, in numero di trenta, e popolazione era molto più accorciata.

Con il 1993, anno della nuova legge elettorale di nomina diretta del sindaco, si ebbe la prima grande illusione: quella di riuscire a stabilizzare una partecipazione più larga e consapevole e quella di espandere i confini di un’opinione pubblica finalmente matura e democratica, non ridotta al solo voto, della quale le forze politiche avrebbero dovuto fungere da sostegno e levatrici.

Le cose invece sono andate diversamente.

3) La classe media responsabile verso la comunità vegliese si è dissolta

La caduta della opinione pubblica di questi anni, che controlla e alimenta la vita democratica del nostro paese, è figlia di fenomeni diversi, alcuni strutturali e altri contingenti.

a) Fenomeni strutturali

  • La classe media locale è un po’ cresciuta ma sostanzialmente i professionisti sono rimasti gli stessi con pochi ricambi. Le menti migliori giovanili hanno lasciato il paese per studio e non sono più tornate. Basterebbe fare un censimento dei quarantenni vegliesi, che lontani dal paese sono professionisti molto affermati, per rendersi conto di quale danno ha subito la democrazia locale. Negli ultimi anni la borghesia locale ha vissuto di rendita e senza concorrenza scivolando sempre più nella mediocrità (se il giudizio non fosse troppo severo e ingiustamente generalizzato si potrebbe parlare di “borghesia lazzarona”).
  • Il fallimento delle cooperative in agricoltura ha travolto non solo alcune importanti iniziative nel settore economico fondamentale per un paese a vocazione agricola ma ha sfiancato e spento il valore del lavorare insieme e la necessaria partecipazione di ciascuno a costruire insieme la vita di tutti, oltre i propri interessi. Molti cittadini hanno vissuto questi fallimenti come “un tradimento” e come sfiducia nella “cosa pubblica”. Il ceto medio vegliese è apparso ai più come un efficace frullatore consociativo di interessi costituiti, dunque inevitabilmente conservatore.
  • Il conflitto è scomparso, anzi è stato fortemente contrastato e minacciato. Il conflitto non inteso come polemica, che è anzi viva e vegeta, ma il confronto necessario di posizioni, di valori, di giudizi, di idee, di speranze, infine di azioni. Se un individuo ibernato nel 1970 si risvegliasse oggi nel nostro paese, a prescindere dalle innovazioni, penserebbe a una popolazione divenuta improvvisamente afona, senza voce. Il confronto pubblico, soprattutto fra opinioni divergenti, è rarissimo ed evitato con cura.

b) Fenomeni contingenti

  • Lo sbriciolamento dei partiti e lo svegliarsi dal torpore solo prima delle elezioni per posizionarsi sulla scacchiera del micropotere. Ma di questo tutti parlano.
  • La inadeguatezza della Legge elettorale n. 81/1993 che applica a un paese di 13.500 abitanti un sistema maggioritario inappropriato e dannoso.
  • Il rapporto tra amministratori e dipendenti comunali o macchina burocratica. Non possiamo qui approfondire questo aspetto.

4) Quale ricetta? “Una cassetta degli attrezzi”

No. Non esiste una ricetta. Si può pensare solo ad “una cassetta degli attrezzi” per far uscire dalla gabbia del presente e per guadagnare al paese con determinazione un “antico futuro”. “Antico” perché quasi tutti noi vegliesi possiamo dirci figli di contadini e della loro tenacia. Figli della generazione della zappa e della bicicletta (a cui dovrebbe essere fatto un monumento!) che è scomparsa; figli della generazione di contadini della rivoluzione verde; figli della generazione di contadini resistenti alla drammatica presenza della xilella, alla crisi climatica, alla perenne crisi d’acqua, all’avanzata della desertificazione e alla crisi energetica. Se pur nuvole nere si addensano all’orizzonte, Veglie non può rinunciare all’agricoltura. È la prima materia “disponibile”, anche per quantità (il feudo vegliese è tra i più estesi della provincia di Lecce). A cui va aggiunta, però, l’altra materia prima che è la creatività (ora un po’ scarsa, in verità) che sconfigge la rassegnazione e l’arte di arrangiarsi.

Nella cassetta degli attrezzi dovremmo mettere nuovi metodi di partecipazione a misura di quartiere o anche di strada, forme già sperimentate di comunità energetiche e del terzo settore, legami o reti tra settori diversi della vita del paese (commercio, artigianato, terziario, cultura, musica, arte, …), nuovi stili di vita pubblici e privati e il controllo costante dall’esterno sugli eletti, sui loro atti e sulle loro scelte. Con coinvolgimento personale di tempo e di energie fisiche. I movimenti di opinione sui social non bastano più perché sono ininfluenti, in quanto i soggetti che li praticano non rischiano nulla. Al contrario, solo chi è disposto a pagare di persona incide e cambia una realtà che sembra immodificabile. Quale esempio di partecipazione ci indicano i ragazzi e le ragazze iraniane che contestano il potere rischiando anche la vita!

La crisi vegliese non finirà con le prossime votazioni amministrative, anche se non vanno snobbate o sottovalutate.

Dopo 30 anni, in cui 6 mandati su 7 si sono conclusi prima del tempo, mi sembra velleitario o ingannevole chiedere ai soliti politici mestieranti, a coloro che, con motivazioni diverse, sono stati gli artefici di questi fallimenti (cfr. nella scheda i tanti protagonisti dal 1999 al 2003) di prendere coscienza della loro mediocrità e avere la correttezza elementare di riconoscere la propria inadeguatezza a ruoli amministrativi. Non serve, perché, accecati da orgoglio e sordi anche alla propria coscienza, difficilmente si faranno da parte.

La cattiva amministrazione si può vincere se ci sarà una opinione pubblica (ripeto, “una chiazza”) che si organizza in corpi intermedi (anche non partitici), controlla, dibatte, propone, grida, urla, senza violenza ma con decisione, si informa e si fa sentire, chiede trasparenza e sta con il fiato sul collo di chi amministra. Porre il freno, con il contributo dei più, ad una eutanasia graduale della vita sociale del paese, che si sta consumando nel silenzio, è urgenza primaria. Nessun nuovo sindaco, nessuna “nuova generazione” di amministratori, che pur non si costruisce per incanto, da soli possono fare la primavera di una amministrazione efficace, duratura e dedita al “comune” e non agli interessi familiari, degli amici e di pochi. La democrazia vegliese che non vuole esaurirsi nell’urna deve prevedere il diritto al lievito del dissenso a un presente rassegnato (chiamatelo lotta, contrasto, resistenza… come volete) e un esplicito incitamento a non abbandonare la speranza. Le crisi, anche quelle più radicate, si risolvono certo risolvendo le increspature superficiali dei problemi, mai dimenticando però che tali interventi risultano efficaci solo se aprono processi condivisi. È difficile. Ma può essere che “parva favilla gran fiamma seconda”.

10 gennaio 2023

Antonio Greco

SCHEDA DIMISSIONI
La legge 81/1993 a Veglie
a cura di Antonio Greco

Comune con meno di 15 mila abitanti vota con il sistema maggioritario: la lista che prende più voti ottiene un premio di maggioranza in consiglio comunale, cioè più consiglieri.

Durata del mandato: quattro anni. Dal 2000 diventa di cinque anni.

I cittadini votano direttamente il Sindaco, che non può ricevere più di due mandati consecutivi, tranne il caso in cui uno dei due mandati non abbia superato la metà della durata di legge.

Numero consiglieri dal 1993 al 2010: 20, di cui 12 assegnati alla lista che vince le lezioni anche solo per un solo voto in più + il Sindaco. Sette consiglieri sono assegnati, in modo proporzionale, alle liste che perdono.

Numero consiglieri dal 2010 al 2020: 17, di cui 11 assegnati alla lista che vince le lezioni anche solo per un solo voto in più + il Sindaco. Cinque alla minoranza sono assegnati, in modo proporzionale, alle liste che perdono.

Secondo il legislatore questo sistema doveva garantire maggiore stabilità e durata al governo cittadino ma questo a Veglie non è avvenuto.

 IL SISTEMA MAGGIORITARIO A VEGLIE
dal 6 giugno 1993 al 4 gennaio 2023

Si sono susseguite 7 amministrazioni, di cui 6 non hanno terminato il mandato nei tempi stabiliti dalla legge.

Ecco una breve sintesi:

  1. 1993-1997: sindaco Antonio Greco. Mandato concluso regolarmente.
  2. 1997-1999: sindaco Antonio Greco. Dimissioni contestuali.
    Il mandato si interrompe il 22 novembre 1999 per le dimissioni contestuali di 11 consiglieri: 7 della minoranza (Alemanno Raffaele, Catamo Lorenzo, Martina Flavio, Milanese Francesco, Nicolaci Cosimo, Patera Roberto, Vetrano Salvatore) e 4 della maggioranza (Calcagnile Pietro, Capoccia Stefania, D’Elia Francesco, Spagnolo Cosimo). Il sindaco sfiduciato non si può più ricandidare perché sfiduciato dopo due anni sei mesi e 25 giorni. La metà del mandato era di quattro anni ma, siccome poco tempo prima il legislatore lo aveva portato a cinque anni, per essere certi che il sindaco sfiduciato non potesse più candidarsi, allo scadere dei due anni e mezzo, 11 consiglieri (7 minoranza+4maggioranza) presentarono le dimissioni per lo scioglimento del Consiglio Comunale.
  3. 2000-2004: sindaco Roberto Carlà. Dimissioni contestuali.
    Anche questo mandato si interrompe il 22 novembre ma del 2004: con le dimissioni contestuali di 4 consiglieri di maggioranza (Mangia Cosimo, Spagnolo Maurizio, Maggiore Giovanni, Albano Mario) e di 7 consiglieri di minoranza (Aprile Alessandro, Aprile Mario, Cipolla Giovanni, Fai Fernando, Greco Antonio, Parente Giovanni, Cutrino Giuseppe), a cui si aggiunge Sabato Oronzo, vicesindaco fino al 27 dicembre 2001, è sciolto il Consiglio Comunale.
  4. 2005-2009: sindaco Fernando Fai. Dimissioni non contestuali.
    In questo mandato la maggioranza era formata da 12 consiglieri, una assessora esterna e il sindaco. Si dissociano dal Sindaco: tre consiglieri (Stefania Capoccia, Pompilio Rollo e Cosimo Spagnolo), l’assessora esterna (che si dimette) e il presidente del consiglio, Tonio De Bartolomeo. Il 28 maggio 2008 gli 11 (7 di minoranza: Aprile Alessandro, Greco Antonio, Stefanizzi Fabrizio, Armonico Valerio, Carlà Giovanni, Paladini Claudio, Vetrano Salvatore; + i tre di maggioranza + 1 il presidente del consiglio) firmano le dimissioni non contestuali: il presidente del Consiglio firma alle ore 14 del 28 maggio, gli altri 10 alle ore 15, all’apertura dell’ufficio protocollo. Lo scioglimento del Consiglio non avviene, nonostante la maggioranza consigliare tecnicamente e politicamente non ci fosse più. Il ricorso al TAR Puglia-Lecce dà ragione agli 11 dimissionari, con sentenza n. 2986 del 3 dicembre 2009, ma il Consiglio Comunale rimane in piedi (decreto urgente del C.d.S. 9.12.2009). Significative sono le dichiarazioni del compianto Tonio De Bartolomeo, presidente del consiglio, dimissionario, alla Gazzetta del Mezzogiorno del 3 giugno 2009: “la risicata maggioranza pretende di continuare ad amministrare il nostro comune, ma non rappresenta più la volontà popolare che quattro anni orsono ci ha affidato il governo del paese. (La scelta di dimettermi è stato) “un atto dovuto. (…) Avevo invitato il sindaco a rassegnare le dimissioni congiuntamente alle mie, rimanendo d’accordo che lui le avrebbe rassegnate nella mattinata ed io dopo di lui. Ma quando mi sono presentato all’Ufficio Protocollo del Comune ho appreso con sorpresa che il sindaco era venuto meno alla parola data. Ho fatto protocollare comunque le mie, fedele alla correttezza morale e politica che ha sempre contraddistinto il mio agire all’interno delle istituzioni”.
    A tutti gli effetti anche questo mandato ha subito l’onta delle dimissioni e lo sfaldamento della maggioranza consiliare.
  5. 2010- 2014: sindaco Alessandro Aprile. Dimissioni del sindaco.
    Constatata la impossibilità di formare una giunta che tenesse unita la maggioranza, il 15 aprile 2014 il sindaco rassegna le dimissioni irrevocabili. Dopo venti giorni, è sciolto il Consiglio Comunale.
  6. 2015-2020: sindaco Claudio Paladini. Mozione di sfiducia consiliare.
    La mozione di sfiducia presentata il 7 maggio 2020 da 10 consiglieri comunali è approvata con n. 10 voti favorevoli (Armonico, Centonze, Coluccia, Fai, Landolfo Giuseppe, Landolfo Zaneila, Nicolaci, Spagnolo, Stefanizzi e Vetrano) e n. 6 voti contrari (Buccarella, Cacciatore, Capoccia, Massa, Miccoli, Paladini) resi per appello nominale dai n. 16 membri del Consiglio presenti e votanti. La consigliera Stefania Rapanà si era dimessa e non vi erano state disponibilità alla surroga dei non eletti.
  7. 2020- gennaio 2023: dimissioni contestuali.
    9 consiglieri: cinque di minoranza (Cipolla, Landolfo, Carlà, Fai, Spagnolo) e 4 quattro di minoranza (Luisa Margherito – Fiorenzo Patera – Oronzo Sabato – Giada Santolla) la mattina del 4 gennaio presentano le dimissioni contestuali al protocollo del comune.
    E’ il record per la minore durata tra i sei mandati conclusi prima: due anni, tre mesi e 15 giorni.

ANNOTAZIONI

  1. Sono state attuate nel tempo quattro forme di scioglimento del Consiglio Comunale previste dal Dlgs 267/2000:
  • dimissioni contestuali presentate al protocollo dell’ente della metà più uno dei consiglieri (tre volte);
  • dimissioni con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente della metà più uno dei consiglieri assegnati (una volta);
  • dimissioni del sindaco (una volta);
  • approvazione di una mozione di sfiducia al sindaco votata per appello nominale dalla maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio Comunale (una volta).
  1. La responsabilità dello scioglimento è sempre lo sfaldamento della maggioranza. La minoranza, in tutti e sette i casi, è stata unita e non vi sono stati casi di trasformismo o di migrazioni dalla minoranza alla maggioranza;
  2. È evidente un dato costante: le maggioranze sono composte per vincere le elezioni e non per amministrare un paese con sintonia di programmi e con soggetti che hanno le qualità previste dall’art. 54 della Carta costituzionale: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”;
  3. I motivi per cui uno o più consiglieri si allontanano dalla maggioranza sono diversi nelle sei consiliature non portate a termine regolarmente, anche se la finalità è la stessa: interrompere un mandato amministrativo;
  4. Come si può leggere nella scheda, alcuni dimissionari sono gli stessi e “ritornano” in più di un mandato, ma la responsabilità principale (non la sola) della rottura traumatica è del sindaco che sceglie i componenti della lista e che, nel bene e nel male, ha in mano le leve del potere amministrativo;
  5. Oltre alla instabilità amministrativa l’attuale sistema elettorale ha prodotto anche veleni, rancori personali e divisioni insanabili.
  1. Allo stato attuale e per le prossime votazioni comunali vegliesi:
  • la revisione dell’attuale sistema maggioritario è auspicabile ma non praticabile per le prossime votazioni;
  • la crisi dei partiti non consente in pochi mesi una preselezione dei candidati ad amministrare;
  • non esiste nessuna forma di formazione prima di ricoprire ruoli così importanti e difficili come quello di sindaco, assessore o consigliere comunale;
  • l’eletto, di fatto, non deve dare conto a nessuno per le sue scelte amministrative, anche se invoca, quando gli fa comodo, di avere alle spalle i suoi elettori e si fa scudo delle sue preferenze.

Il male principale della democrazia locale vegliese è che da anni essa si esaurisce con il deposito della scheda elettorale nell’urna.

Da rilevare un dato molto significativo che indica come anche negli ultimi due mandati (2015 e 2020) la percentuale dei votanti è calata di 10 punti in percentuale rispetto ai mandati precedenti:

Votanti nelle otto tornate elettorali comunali vegliesi:

  • 06-06-1993: 85,53%
  • 27-04-1997: 80,06%
  • 16-04-2000: 82,31%
  • 03-04-2005: 82,77%
  • 28-03-2010: 80,60%
  • 31-05-2015: 71,32%
  • 20-09-2020: 71,52%

10/01/2023

a cura di Antonio Greco

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