STORIA O LEGGENDA?
UNO DEI SIMBOLI DI VEGLIE HA LE SUE RADICI NELLA STORIA DEL NOSTRO PAESE
VEGLIE – “A perenne ricordo delle storiche radici dell’Antico Gelso che visse questa Piazza insieme ai suoi cittadini”.
Queste sono le parole impresse sulla targa che accompagna l’albero di gelso piantumato nel giorno precedente la Festa Patronale di San Giovanni Battista che ha avuto inizio il 23 giugno 2023.
Queste le parole del sindaco dott.ssa Mariarosaria De Bartolomeo:
“Tra le pieghe della necessità di amministrare il Comune di Veglie, l’Amministrazione Comunale ha fortemente voluto omaggiare la cittadinanza vegliese con la piantumazione di un gelso in Piazza XXIV Maggio adiacente Piazza Umberto I con l’augurio che questo nuovo gelso rappresenti per Veglie non solo il ricordo delle proprie radici ma anche il recupero della propria identità e dell’essere comunità, e soprattutto sia simbolo e buon auspicio per il nostro sviluppo economico!”
È un detto comune tra i cittadini di Veglie indicare una cosa molto vecchia con la frase “Si ricorda lu geusu ti mienzu alla chiazza” prendendo come punto di riferimento temporale l’albero presente in piazza Umberto I qualche secolo fa.
Con il passare del tempo l’albero di gelso è diventato quasi una leggenda non avendo più nella memoria dei cittadini alcun riferimento storico effettivo che lo facesse ritenere un elemento reale della storia di Veglie.
Quando la memoria sta per perdersi la narrazione confonde la storia con la leggenda.
Alcuni documenti storici confermano però che “lu Geusu di mienzu la chiazza” è esistito veramente (1740) ed è stato fonte di reddito per Veglie. Risulta da atti che il ricavato della vendita dei frutti di gelso e delle foglie era iscritto nel bilancio comunale dell’epoca.
A conferma di quanto detto, riportiamo di seguito una ricerca storica di Antonio De Benedittis proprio sulla Storia dell’Albero di Gelso di Veglie. A margine della ricerca si può leggere anche uno stralcio sulla storia dell’Albero della Libertà che è tutt’altra cosa rispetto all’albero di gelso.
“Lu Geusu ti mienzu la Chiazza”
Ricerca Storica di Antonio De Benedittis
A proposito dell’albero di gelso
Un’iniziativa simpatica e certamente interessante è stata quella di aver piantato un albero di gelso nelle vicinanze della piazza principale rispolverando quel luogo comune tramandatoci dai nostri avi i quali per indicare che una determinata cosa o persona era avanti con gli anni, solevano dire “Si ricorda lu geusu ti mienzu alla chiazza” facendo riferimento con questo dire ad un albero di gelso che l’Università di Veglie (oggi Comune) anticamente possedeva al centro della piazza del Rivellino (oggi Piazza Umberto I).
Appropriato appare pure il luogo ove è stato collocato: piantarlo al centro della piazza, nel luogo dove anticamente si trovava l’albero di gelso, avrebbe arrecato notevoli danni al mosaico ivi esistente che raffigura una versione antica dello stemma araldico di Veglie.
Forse quello che manca, e che comunque si può sempre rimediare, è una sintetica descrizione del ruolo che ha avuto quest’albero durante la sua breve esistenza; descrizione che potrebbe essere fatta su lastra metallica (o altro materiale) posizionata alla base dell’albero al fine di soddisfare l’interesse e la curiosità di quanti ne volessero sapere di più.
Ricordare l’albero per la sua antichità è certamente riduttivo perché, a mio avviso, merita di essere ricordato per lo sforzo immane compiuto dal sindaco dell’epoca che era quello di cercare di far quadrare i conti del bilancio comunale. È risaputo infatti che all’epoca la popolazione era bersagliata da una miriade di tasse e balzelli imposti dal fisco e dal feudatario di turno e, nello stesso tempo, il sindaco (la cui nomina veniva fatta sempre dall’alto e ne rispondeva in proprio) era chiamato a garantire i servizi essenziali utilizzando le esigue risorse disponibili. Ed è proprio per questo che nel 1741 il sindaco Gregorio Corigliano riporta nella parte attiva dello stato discusso (bilancio) dell’università anche l’esigua rendita riveniente dalla vendita del frutto e delle foglie dell’unico albero di gelso che possedeva nella piazza del Rivellino.
Negli anni successivi non c’è più traccia di questo albero; si ha motivo di ritenere che alcuni personaggi del luogo, molto influenti, abbiano ordinato la sua rimozione per evitare che in futuro si verificassero gli stessi inconvenienti di cui erano stati bersaglio; infatti nel mese di agosto 1742 erano stati affissi nelle strade e nel celso sito nello Rivellino alcuni cartelli infamatori all’indirizzo del magnifico governatore Eustachio Ricotti, del magnifico Nicolò Maria Greco e contro la sua quarta moglie Jolle Piccinno; il sito fino a quando è esistito l’albero era il luogo dove i naturali solevano sostare per prendere il fresco ed essere informati su tutto ciò che avveniva nel paese. Vero è che nel mese di settembre 1742 nella curia arcivescovile di Brindisi è stato celebrato processo penale a carico del sac. Giovanni Battista Miali, ritenuto l’autore dei cartelli infamatori, ma è pur vero che dopo il 1742 l’albero di gelso non figura più tra i beni dell’Università.
Solo sul catasto onciario del 1763 è riportata la notizia che l’Università di Veglie possedeva tra i suoi beni un altro albero di gelso però non nella piazza del Rivellino bensì nel suffeudo di Vocettina, pertinenza di Veglie: “L’Università di questa Terra possiede un territorio dimaniale a Vogettina con Pozzo sorgivo ed un albero di Gelso giusta la masseria delli Petti di nessuna rendita. Più tomola tre di terre paludose alla Palude con tre pirazzi giusta li beni del magnifico Tommaso Verrienti, rendita grana 21 e mezza”.
Dopo queste sintetiche notizie rinvenute sui fondi archivistici dell’Archivio di Stato di Lecce e dell’archivio storico Diocesano di Brindisi, mi preme concludere affermando che L’ALBERO DI GELSO NEL RIVELLINO non ha niente in comune con l’ALBERO DELLA LIBERTA’: sono momenti storici completamente differenti avuto riguardo anche del fatto che quando è stato piantato l’Albero della Libertà, l’albero di gelso era ormai scomparso da più di mezzo secolo.
Quindi lasciamo da parte le leggende metropolitane e la fantasia e diamo uno sguardo alla documentazione conservata negli archivi statali.
L’ALBERO DELLA LIBERTÀ
da Risorgimento Vegliese (1799-1861) in www.storiediveglie.it
Il 22 gennaio 1799 a Napoli, i cosiddetti patrioti napoletani proclamarono la nascita di un nuovo stato, la Repubblica Napoletana, anticipando il progetto francese d’istituire nel Mezzogiorno napoletano un governo d’occupazione.
Il 12 aprile del 1799 i francesi sbarcati a Brindisi dal vascello il Generoso imposero alle popolazioni di piantare l’Albero della Libertà (simbolico!) e di fregiarsi della coccarda tricolore. L’arcivescovo Annibale De Leo fu costretto a cantare il Te Deum Laudamus in Cattedrale.
A Veglie l’avv. Giambattista Paladini fu il primo a fregiarsi della Coccarda tricolore e a dispensarla ad altri cittadini quali l’arciprete don Giuseppe Caricato, il cantore don Teodoro Verrienti, D. Tommaso Massa, Giovanni Vernole, Mandocheo Tempesta, Pasquale Leone e ad altri. Nello stesso tempo fece fare lo scavo in piazza e, insieme al figlio Raffaele, piantarono l’Albero della Libertà quale simbolo della riscossa. L’albero, che non era una vera e propria pianta vegetale, consisteva in un palo di legno con sulla cima il berretto frigio, la bandiera repubblicana e sul tronco varie ghirlande e nastri tricolori; in tale albero venivano anche affissi i messaggi rivoluzionari tra i quali: “Libertà, Eguaglianza e Fraternità”.
I progetti politici però non riuscirono a trovare pratica attuazione nella breve durata della repubblica; il 13 giugno 1799 infatti l’armata popolare sanfedista organizzata attorno al cardinale Fabrizio Ruffo riconquistò il mezzogiorno, restituendo i territori del regno alla monarchia borbonica esule a Palermo.
Dopo la caduta della Repubblica napoletana i Paladini, padre e figlio, furono tra i primi ad essere convocati a Galatina al cospetto del ministro D. Diego D’Ayala Valva per rispondere alle accuse nei loro confronti fatte per fini personali e vendette private, da alcune spie che anche a Veglie proliferavano.
Padre e figlio, furono condannati e carcerati ma subito dopo riacquistarono la libertà con il pagamento di 200 ducati ciascuno.
(l’intera vicenda è riportata anche negli atti del notaio Vincenzo Favale di Veglie, in ASL. 115/4 – anno 1799).
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