“Un popolo per risorgere deve prima insorgere”
Lettera del prof. Antonio Greco
La scritta “Resurrecturis” campeggia sul frontone del nostro cimitero che quasi tutti i vegliesi hanno visitato in questo novembre 2024. Si può tradurre [monumento dedicato] “a coloro che risorgeranno”. I morti risorgeranno? E quando risorgeranno? È una fede o una credenza, una speranza o un’attesa, proiettata nell’aldilà e alla fine dei tempi.
È possibile tradurre “Resurrecturis” con “a quelli che stanno per risorgere”. Ed è corretto. Preferisco tradurre così la perifrastica attiva. E quest’unica parola latina potrebbe star bene anche posta su una parete della torre municipale e/o anche su quella del campanile della chiesa madre vegliese. Perché?
Un popolo è fatto dalla compresenza di tutti gli esseri, viventi e morti, morti di ieri, viventi di oggi, uomini/donne e animali. Ai vivi di questo paese, fatto di compresenza di tutti, è anche rivolta la scritta: “a coloro che stanno per risorgere”. “Risorgeranno”, ma anche si potrebbe, parafrasando, tradurre: “Insorgeranno”.
Un popolo per risorgere deve prima insorgere. Ha bisogno di una rivolta.
Una rivolta non contro qualcuno ma una rivolta per ribaltare un mondo ottuso e prepotente che abbiamo costruito con responsabilità di tutti. Una rivolta, perché le guerre ammazzano bambini e innocenti e ingrassano il mercato delle armi. Una rivolta, perché sta morendo la politica e con essa la vita democratica. Una rivolta, perché, di fatto, non esiste più il sistema sanitario nazionale universalista, se per fare una TAC in tempi decenti occorre rivolgersi a strutture private a pagamento. Una rivolta, perché non è un paese per giovani, ma non è nemmeno un paese senza servizi adeguati ad anziani. Una rivolta, perché anche chi ha un lavoro corre verso il baratro della povertà. Una rivolta, perché televisione e mezzi di comunicazione di massa servono, quasi sempre, ad addormentare ed anestetizzare. Una rivolta perché…, perché….
Ma non basta una rivolta sociale. È necessaria una rivolta culturale, politica e religiosa.
Rivolta contro la rassegnazione e indifferenza. Contro la cultura dello “stare tranquilli e nascosti dietro la propria finestra a guardare” e quella del “pensare solo ai propri interessi”.
Rivolta contro lo svuotamento dei partiti, sostituiti dai signori delle tessere, che condizionano le scelte amministrative, che non hanno alcun interesse per i bisogni reali di una popolazione, che fanno solo i gregari e i “villanzini” di interessi sovrapaesani.
Infine, anche a cittadini non credenti interessa una rivolta religiosa.
Quando le parrocchie erano una potenza sociale (tutti battezzati, una sola religione, clero come autorità sociale, quasi tutti timorosi osservanti…), il vangelo si dava per scontato, e si predicava non l’annuncio, ma l’obbedienza.
È stata una grande grazia di Dio la perdita di potere sociale, morale e politico che la secolarizzazione ha inflitto a questo tipo di chiesa.
Ma quella struttura socio-religiosa influisce ancora coi suoi residui effetti sui catto-conservatori e sulle abitudini dei buoni cristiani.
Vi chiederete, chi potrà fare questa rivolta, ovviamente non con armi di qualsiasi tipo, ma con l’unico strumento della resistenza attiva al dominio del presente come destino?
Si dirà che a Veglie “la rivolta” è una chimera, non sta nella testa di nessuno. Si può solo sognare.
Penso, invece, ai tanti piccoli fuochi di resistenza a questa situazione ormai irrespirabile:
- quelli nelle scuole, dove ancora si discute liberamente (sia o no consentito dalle vigenti disposizioni ministeriali) e si fa crescere la coscienza critica e ambientale di tanti ragazzi;
- quelli nella cooperazione sociale, nonostante le brutte esperienze del passato nel settore, dove lentamente si prova a dare dignità e rispetto al lavoro;
- quelli nel volontariato, che prova a sanare le esclusioni e gli abbandoni;
- quelli nel lavoro e nella cultura femminile, con abbozzi di avvio di processi innovativi;
- quelli nei circoli, dove si legge assieme un libro che ha ancora da dire una cosa importante; nelle iniziative di coloro che con competenza aiutano a formare una coscienza non solo letteraria ma anche civica.
Dimentico e trascuro il mondo cattolico? No.
Il movimento neocatecumenale, che anni fa ha iniziato una “rivolta” nei confronti di un cattolicesimo abitudinario e conformistico, con l’obiettivo di superare una formazione religiosa datata (e in parte infantile) che non regge alla prova della vita e alla maturazione culturale, è vivo e vegeto. Ma da osservatore esterno, mi sembra che sia un movimento di “appartenenza” e non di “riferimento”. Un movimento di “appartenenza” si pone come una realtà totalizzante. Chi vi partecipa vive un cristianesimo difensivo, intimistico, non intrecciato con le dinamiche del proprio tempo, incapace di stare nella società plurale e di dare il proprio contributo al bene comune. Un movimento di “riferimento”, invece, dovrebbe essere un “luogo” che si frequenta per nutrire la fede pur senza abitarlo in continuità, che non opera in concorrenza alle parrocchie, in quanto le persone sono invitate a vivere il loro impegno di laicità nella chiesa locale, negli ambienti ordinari ove essi conducono l’esistenza.
I fuochi di rivolta al freddo presente ci sono. Basta saperli vedere e individuare.
Ma i piccoli fuochi di resistenza, prima o poi, si spengono. Non durano. È difficile che diventino fuochi di resistenza di un popolo e non di singoli se nessuno si è curato e si cura di farli diventare un falò popolare. Non vedo chi, tra coloro che godono del privilegio del potere, si è messo per strada, nei campi, nella piazza, nelle botteghe, nelle officine per raccogliere la “collera di 10, 1.000, 13.000 vegliesi”, che possano camminare e insorgere per R i s o r g e r e insieme.
“Ultima chiamata”, “resurrecturis”: un popolo di morti e di viventi, un popolo ricco di sapienza e di mistero, spero, stia insorgendo-risorgendo.
20.11.2024
Antonio Greco
P.S.: Questo articolo è stato ispirato dal video, di circa 2 minuti, pervenutomi tramite whatsApp, di un ragazzo di scuola elementare vegliese che invoca aiuto per dire a tutto il mondo “no all’inquinamento”. (Antonio Greco)
.